Liberatore e il post-fumetto

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Sergio Brancato
Docente di Sociologia della Comunicazione presso le Università degli Studi di Napoli (Federico II) e Salerno

Liberatore e il post-fumetto
Non è facile parlare di Tanino Liberatore, nato in Abruzzo nei primi anni ’50 e trasferitosi a Parigi, via Roma, nei primi anni ’80, senza incappare nei luoghi comuni, nel “già detto” su un illustratore dalla potenza espressiva così grande, quasi esagerata, che ha caratterizzato l’estetica e l’immaginario di un periodo breve ma nevralgico della nostra storia e della nostra identità generazionale. Tra aneddoti (molti dei quali riportati da un altro, seppur diverso, geniale interprete e testimone di quel momento, Filippo Scòzzari, nel suo dolceamaro libro di memorie, Prima pagare poi ricordare, pubblicato da Coniglio Editore) e commenti critici, la rete di parole che si stende sull’opera di Liberatore è ormai così fitta da precedere quasi la riflessione. Siamo diventati un po’ troppo ortodossi, forse, nei riguardi di una “generazione di ragazzi geniali” (sempre Scòzzari, riferito a se stesso, Andrea Pazienza, Stefano Tamburini, Massimo Mattioli e ovviamente Tanino). Troppo ossequiosi della loro stagione di folle, dissennata, lucidissima creatività, che ancor oggi ci abbaglia con le visioni di un mondo di immagini attraversate dal sentimento dell’angoscia e dagli ultimi possibili residui di spirito critico.

È difficile parlare, dire ancora di opere così epocali da essere diventate, di quell’epoca, un irrinunciabile feticcio. Ricordo ancora l’emozione che mi diede leggere/guardare il primo Ranxerox dipinto da Liberatore: il respiro policromo delle vignette, l’audacia delle architetture e dei corpi gloriosi, il dinamismo delle inquadrature sospese tra cinema e video, l’erotismo non convenzionale, magari “eccessivo” ma mai banale. Non ricordo, invece, chi paragonò per primo Liberatore a Michelangelo. Ecco, quello mi parve davvero banale: anche perché la critica americana aveva già attribuito il titolo di “Michelangelo del fumetto” a Burne Hogarth, lo straordinario disegnatore di Tarzan negli anni ’30 e ‘40. E Hogarth probabilmente lo meritava di più, perché ispirato a un’idea più classica e rinascimentale del disegno del corpo, e perché Tanino forse è attraversato da tormenti diversi, tant’è che le sue immagini appaiono michelangiolesche, ma riferite piuttosto a quel Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, così moderno e intimamente barocco, così drammaticamente scisso tra luci ed ombre, così inquieto e incapace di persistere nell’ideale armonioso dei suoi predecessori, nel culto della bellezza come produzione del senso del mondo.

Questa è una delle fondamentali discontinuità che Liberatore, insieme al suo ex-compagno di liceo a Pescara, Andrea Pazienza, impone al mondo del fumetto. La sua sensibilità si esprime – dopo la stagione germinale dei primi comics e dei primi lavori come illustratore pubblicitario – nell’universo futuribile e insieme “attualissimo” di Ranx, il coatto sintetico inventato e scritto da Tamburini, narratore acido – corrosivo e lisergico – che sostiene e libera la visionarietà radicale di Liberatore, la sua propensione a un “sublime” post-moderno, inquinato dai tumulti delle avanguardie e da quel mortale “sentire” della corruzione fisica che pervade l’opera di Francis Bacon. La tarda modernità ed i suoi transiti sono già presenti nel passaggio tra anni ’70 e anni ’80, nella frizione tra le culture politiche del Moderno e gli stili delle generazioni post-punk, nella violazione del tabù dell’integrità del corpo (che ridisegna i propri confini e le proprie funzioni): Liberatore è l’artista (o, meglio, il comunicatore grafico) che meglio restituisce questo clima, questi movimenti del corpo sociale, attraverso una ridefinizione degli statuti espressivi del fumetto. Sotto la pelle della sua apparente classicità si nasconde il conflitto delle forme che incarna e rende visibile un passaggio d’epoca.

Era dunque inevitabile, dopo l’acme cinematico di Ranxerox (anticipatore mai riconosciuto dei replicanti di Blade Runner e delle suggestioni neuromantiche di William Gibson), che Liberatore coltivasse la propria vocazione di artista multimediale, ad esempio collaborando con il cinema, che gli tributa un César per i costumi di Asterix e Cleopatra, oppure sperimentando le possibilità aperte alla grafica dal computer. Una ricerca che lo porterà nel 2007 a dar luce, dopo anni di gestazione, a Lucy, una sorta di anti-graphic novel su testi di Patrick Norbert, la storia di un ominide preistorico precedente lo sviluppo del linguaggio. Per molti versi, anche Lucy – come Ranxerox – è un post-fumetto, una storia non-raccontabile se non attraverso le immagini, che in Liberatore si addensano sempre di significati laterali, incompiuti, lancinanti nel loro non appartenere al senso comune delle cose.

Testo tratto dal catalogo Comicon 2009: Tanino Liberatore. Un Michelangelo post-moderno